Quando ho deciso di vedere “SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano“, la docuserie italiana prodotta da Netflix, ero spinta dal mio interesse verso l’argomento, nonché incuriosita dalla moltitudine di reazioni, spesso contrastanti, che questo prodotto è riuscito a scatenare. Una volta conclusi i 5 episodi, ne ho compreso il potere evocativo e i numerosi spunti di riflessione che la serie offre.
SanPa ricostruisce la storia della comunità di San Patrignano, ripercorrendo i circa vent’anni che vanno dai suoi esordi fino alla morte del suo fondatore, Vincenzo Muccioli; lo fa attraverso immagini di archivio e con interviste a diversi ex ospiti della struttura e ad alcuni parenti, a figure nell’ambito del giornalismo, dei media e della giustizia italiana.
Le vicende si svolgono intorno alla figura imponente e carismatica di Muccioli, che rappresenta il filo conduttore di tutta la serie. Non è una scelta a caso, Muccioli infatti è San Patrignano, e questa si è rivelata essere la più grande risorsa e, al contempo, il più grande limite della comunità più famosa d’Italia. La docuserie non trascura l’esplorazione del contesto storico e sociale degli anni 70, 80 e 90, mostrandoci uno spaccato che si intreccia fortemente con le scelte e con la direzione presa dalla comunità nella sua evoluzione. In tutto ciò, SanPa risulta essere una docuserie avvincente, senza sottovalutare l’accuratezza nella ricerca delle fonti e nella ricostruzione dei fatti; ha il merito di catturare l’attenzione dello spettatore ed emozionarlo, accostando elementi di riflessione. Con SanPa risulta difficile prendere una posizione netta, a favore o contro l’operato della struttura e del suo fondatore, e la serie stessa si esime dal farlo, preferendo fornire al pubblico gli strumenti per muoversi nella complessità di un fenomeno articolato, che può avere contemporaneamente luci ed ombre, senza che le une smentiscano le altre.
SanPa affronta un tema complesso, i fatti di cronaca, le riflessioni e i vissuti delle persone intervistate forniscono punti di vista differenti, mostrandoci l’eterogeneità di una realtà controversa. L’analisi dei fatti pone alla nostra attenzione dilemmi etici che da sempre ci riguardano, lasciando lo spettatore libero di costruire la propria opinione informata, senza che gli venga imboccata una soluzione. Gli spunti offerti dalla serie stimolano la curiosità e l’approfondimento, i dilemmi restano aperti e costituiscono materiale per poter riflettere anche sulle questioni contemporanee. Questo è il punto di forza della serie, costruita in modo intelligente e responsabilizzante.
IL CONTESTO
Attraverso le immagini di archivio, la serie ricostruisce in modo evocativo il background storico e sociale degli anni 70, in cui il fermento ideologico e l’attivismo di quegli anni, soprattutto nei giovani, incontra una realtà fino ad ora sconosciuta in Italia, l’eroina. La sostanza coinvolge improvvisamente e in modo devastante ragazzi di ogni estrazione sociale, economica, ideologica e politica, annichilendoli. Il fenomeno è nuovo e lo Stato, già messo alla prova dai tumulti di quelli che saranno poi ricordati come gli anni di piombo, è impreparato ad affrontarlo. Le misure in atto sono gestite dai SerT, che si limitano alla somministrazione del metadone, senza associarvi un supporto medico e psicologico adeguato, o alle carceri, quando si è in presenza di reati. Le famiglie sono abbandonate a loro stesse, ad occuparsi di figli che non riconoscono più, in un clima di violenza domestica e di impoverimento.
VINCENZO MUCCIOLI
In questo clima di timore e di sfiducia nelle istituzioni nasce la figura di Vincenzo Muccioli, uomo empatico ed intuitivo, con una spiccata dote nell’analisi della realtà che lo circonda. Muccioli cerca una missione che dia un significato alla propria vita, così, dopo aver sperimentato per un periodo l’esoterismo e la spiritualità, riconosce nella situazione di abbandono in cui versano i tossicodipendenti, la possibilità di realizzare un compito importante. Apre quindi a questi ragazzi le porte del suo podere (San Patrignano) e li accoglie tutti indistintamente, ne riconosce i bisogni concreti, psichici e affettivi, e vi si dedica. In questo modo, Muccioli offre ai giovani che decidono di entrare nella sua comunità, una possibilità che non avrebbero avuto diversamente, quella di potersi riappropriare della dignità di persone e di un futuro.
Da qui e proprio con la figura di Muccioli, la serie entra nel vivo, accompagnando lo spettatore in un viaggio in cui l’analisi sposa le contraddizioni emotive ed ideologiche, in cui i punti di vista si susseguono, rendendoci arduo il compito di schierarci definitivamente con la parte dei detrattori o dei sostenitori. Infatti, non si può negare che il fondatore di San Patrignano metta in gioco con passione e sincera dedizione ogni aspetto della propria esistenza per la sua opera, che salvi delle vite, fornendo altresì una risposta concreta al problema che attanagliava la società in quel periodo. D’altra parte, però, emerge anche l’immagine di un uomo che cede al delirio narcisistico di onnipotenza, legittimando gli aspetti discutibili dei suoi metodi con l’idea di perseguire un fine più grande. La sua incapacità di mettersi in discussione e di rinunciare all’accentramento nella gestione della struttura, lo porteranno a compiere nel tempo scelte controproducenti, che avranno ripercussioni, anche gravi, su numerosi ragazzi ospiti.
IL DILEMMA ETICO – IL PROCESSO DELLE CATENE
La serie si sofferma in particolar modo sul processo delle catene, in quanto è proprio questo evento che solleva il grande interrogativo etico che ci accompagna nell’analisi dei fatti di San Patrignano. Nel procedimento, l’accusa imputa a Muccioli l’uso di metodi di coercizione duri e lesivi della dignità personale. Lui non nega e, anzi, afferma che sia proprio questo approccio a permettere alla persona di uscire definitivamente dalla tossicodipendenza. Ciò pone una questione morale fondamentale: è lecito ricorrere a metodi illegali e disumanizzanti, se quegli stessi metodi permettono di salvare delle vite?
Le reazioni della popolazione e delle istituzioni sono emblematiche. L’opinione pubblica si schiera totalmente e acriticamente dalla parte di Vincenzo Muccioli, dimostrando come nei momenti di crisi, risulti più immediato affidarsi alla figura di un salvatore, preferendo ignorare le possibili conseguenze del legittimare un uomo nel comportarsi al di sopra della legge. Lo Stato dal canto suo, anziché mantenere la propria autorevolezza e porre dei confini all’operato di Muccioli, finisce per assecondare la volontà popolare e deresponsabilizzarsi rispetto al problema della tossicodipendenza.
Emerge così una società che preferisce girarsi dall’altra parte anziché affrontare i problemi, che elogia l’uomo forte e lo idealizza concedendogli libertà e caricandolo delle proprie responsabilità, salvo poi detronizzarlo impietosamente quando mostra la propria natura umana fallibile.
Dott.ssa Silvia Roncallo
Non mi aspettavo un commento così sereno e obiettivo da parte di un’esponente della “psicologia ufficiale”. Mi compiaccio per l’adeguata lettura della vicenda. Buona giornata.